jeudi 15 avril 2021

Tradurre poesie significa ri-creare

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Post in francese

Durante il decennio degli anni 90 e fino all'inizio degli anni 2000, mi sono dedicato molto alla poesia, scrivendo più di 170 sonnetti ed oltre un centinaio di poemi in prosa, e traducendo anche poesie dall'italiano al francese: 44 poemi di gioventù di Karol Wojtyla, all'epoca Papa Giovanni Paolo II, 3 saggi di Francesca Maria Corrao sulla poesia araba (a proposito di Ibn Dåniyål, poeta di Mosul, di Mahmüd Darwish e del viaggio in Italia di Adonis) ed anche una filastrocca di Natale per bambini (pura poesia :-), oltre ad un libretto di poesia intitolato "Undici Poesie":

http://www.literary.it/dati/literary/B/bocchinfuso/undici_poesie.html

All'epoca mi era valso una pioggia di commenti positivi. Florilegio:

Ringraziamento dell’Autore :
"Ringrazio il poeta Jean-Marie Le Ray, che ha tradotto i miei versi nell’unico modo in cui è possibile tradurre la poesia : ricreandola secondo la propria sensibilità e secondo il genio della propria lingua."

Estratto dalla prefazione di Ferruccio Masci :
"Anche in questa breve silloge di undici componimenti, dotati di intensa liricità melica (e magistralmente tradotti dal poeta Jean-Marie Le Ray)..."

Da una recensione di Guido Carmelo Miano, Editore :
"Questa breve ma incisiva raccolta (testo a fronte, tradotta egregiamente in francese dal poeta Jean-Marie Le Ray)..."

Da una lettera ricevuta dal poeta Francesco De Napoli (Cassino) :
"Ho ricevuto dall’amico Prof. Ferdinando Banchini il volume "UNDICI POESIE", che ho letto avidamente ammirando, tra l’altro, la magnifica e, direi, perfetta traduzione da Lei realizzata con tanto amore e passione..."

Da una recensione di Francesco Mandrino :
(pubblicata su Punti di vista, Padova - Anno VI, n° 21, luglio-settembre 1999)
"Fronte al testo, la versione in francese di Jean-Marie Le Ray : un lavoro certamente non superficiale né agevole. Il pesante ed irrispettoso atto d’arbitrio in cui consiste ogni traduzione, in questo caso non pare teso a riproporre l’oggetto in altra lingua nella sua forma e sostanza, bensì a proporre qualcosa di diverso che dell’oggetto mantiene il senso."

Da una recensione di Maria Pina Natale :
(pubblicata nell’aprile 1999 sul "Nuovo Giornale dei Poeti")
"E’ importante notare che questo breve florilegio poetico è stato tradotto con notevole bravura in lingua francese dal poeta Jean-Marie Le Ray "nell’unico modo in cui è possibile tradurre la poesia : ricreandola secondo la propria sensibilità e secondo il genio della propria lingua".
Abbiamo voluto usare le parole medesime dell’Autore con le quali concordiamo perfettamente, permettendoci di aggiungere che, oltre ai due grandi pregi additati dal Banchini, ci sembra (pluralis modestiæ) di riscontrare anche una perfetta aderenza al testo italiano, aderenza che non significa versione letterale, bensì aderenza di concetto e di espressione; che non è piccolo merito (parola di una veterana traduttrice di testi greci e latini, nonché di spagnoli e francesi)."

Da una recensione di Walter Nesti
"Queste undici poesie che ora ci presenta sono affiancate da una traduzione francese di Jean-Marie Le Ray, che per la scrupolosità con cui è stata eseguita e nello stesso tempo con la libertà necessaria a non appiattirne la resa, come in genere succede con le traduzioni, ha il pregio di figurare come un'opera a sé stante ma a quella intimamente legata. Infatti, rispettando al massimo l'autore, il traduttore ha saputo infondere nella sua lingua quel soffio di poesia pura che una traduzione meccanica non avrebbe potuto raggiungere.
Un esempio : "Le nubi nere, inerti, gravano/ sui campi squallidi" viene reso con : "Les nuages noirs et lourds, inertes/ étouffent les terres désolées", riuscendo così a rendere in francese quella speciale atmosfera quasi rimbaldiana dei versi di Banchini.
Oppure ha "ricreato", è proprio il caso di dirlo, la poesia "Per caso" ("Hasard") : le due lasse di versi della poesia, in Banchini, compatte, comunicano il senso di smarrimento, ma anche di intima gioia, di chi sperso e straniero tra la gente, viene appena rischiarato da uno sguardo. Lo stesso effetto, con un senso più marcato di sollievo, viene raggiunto nella corrispettiva in francese, dove gli spazi aggiunti, le frantumazioni del verso, conferiscono al viandante una più intima certezza di gioia. Anche in questo caso una traduzione meccanica non avrebbe fatto altro che appiattire i bellissimi versi di Banchini.
Non so se la poesia di Banchini sia conosciuta e quanto oltralpe : ma sono certo che questo libretto ne è un utile portolano.
"

Ecco, è una cosa che ricordo con tanto piacere, probabilmente l'unico momento della mia vita in cui venivo riconosciuto da altri non come traduttore, ma come poeta!

Poi questa parentesi poetica si è chiusa per più di 20 anni...

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Qualche settimana fa, un insegnante collega di mia moglie (con le stesse materie: filosofia & storia) che si diletta a scrivere poesie, sotto la firma "Filuzzo", ha mandato su Whatsapp una poesia che mi è piaciuta molto, malgrado il suo titolo: "Quando sarò morto"..., al punto che ho sentito il desiderio irrefrenabile di tradurla.

Così sono andato a rivedermi questi retaggi della mia passata esperienza poetica, ed i commenti sul libro di Banchini mi hanno colpito molto, se non altro perché vi ho visto dentro l'abbozzare di una definizione di quello che dovrebbe essere "tradurre poesia":
Il pesante ed irrispettoso atto d’arbitrio in cui consiste ogni traduzione poetica non deve essere teso a riproporre l’oggetto « poesia » in altra lingua nella sua forma e sostanza, bensì a proporre qualcosa di diverso – a ri-creare un poema – che dell’oggetto mantiene il senso, con la libertà necessaria a non appiattirne la resa. La perfetta aderenza al testo originale non deve significare « versione letterale », bensì aderenza di concetto e di espressione, rispettando al massimo l'autore, per infondere nella lingua d’arrivo quel soffio di poesia pura che nessuna traduzione meccanica non potrà raggiungere mai, per ri-creare un'opera a sé stante ma a quella intimamente legata : l’unico modo in cui è possibile tradurre la poesia è ricreandola secondo la propria sensibilità e secondo il genio della propria lingua.
Ovviamente, questa definizione è un omaggio a Ferdinando Banchini ed ai suoi critici, ma anche un tentativo di mettere nero su bianco quello che rappresentava, e rappresenta, per me, il significato di tradurre poesie.

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Ho cominciato a scrivere i miei primi poemi all'adolescenza, e le mie ispirazioni andavano da Baudelaire a Jim Morrison, da Antonin Artaud a Armand Robin, da Frédéric Dard a Victor Hugo, prima di aggiungervi più tardi Alda Merini, dopo aver imparato l'italiano...

Già dalla mia prima raccolta, mai pubblicata, come tutto quello che ho scritto, del resto, che evocava alcune reminiscenze di una parte della mia vita molto avventurosa e vagabonda, cercai di ridare un significato - il loro o il mio - alle parole, a quelle che parliamo, che scriviamo, a quelle che riceviamo, alle parole, per riassumere, attraverso le quali ci sforziamo di comunicare, le famose "parole della tribù"
perseguendo deliberatamente il sogno della perfezione
l'utopia realizzata di un testo che non sarebbe più da ritoccare - mai!
Come il piccolo principe della sua rosa, ancora una volta mi sentivo responsabile di ogni parola, del corretto uso di ogni parola ..., responsabile di
incastonare ogni parola nel suo significato profondo - non si potrebbe cambiarne nemmeno una senza rompere il sottile equilibrio dell'insieme della raccolta -, a volte primario, a volte più attuale

(combattere l'inadeguatezza del parlare riscoprendo la linea di demarcazione tra le passate bellezze del "linguaggio antico" ed i nuovi tesori della lingua moderna, più aperta e "democratica")

inventare un significato più aderente attraverso alcuni neologismi, contestuali o meno, come plasmare (che non esiste in francese)

mascolinizzare sostantivi ingiustamente femminili per millenni (prostituto o gravido...)

usare le parole più umili restituendo loro il discernimento che hanno disappreso, il loro splendore nativo andato per essere stato pronunciate e abusate 
troppo a lungo
volgarizzare la poesia e, finalmente

fare della lingua poetica
una lingua carnale
una lingua umana !


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Ma la poesia è anche traduzione! Cosa fa se non tradurre parole indicibili in testo scritto? Se non tradurre immagini percepibili solo dal poeta in parole comprensibili per chi legge?

E' probabile che sia questa vicinanza tra poeta e traduttore ad avermi dettato un mio vecchio curriculum che diceva: Affidatemi le vostre idee, le tradurrò in parole! Affidatemi le vostre aspettative professionali, le tradurrò in risultati! Affidatemi le vostre problematiche "business", le tradurrò in soluzioni! Affidatemi i vostri progetti web, li tradurrò in successi!

Così scrissi una volta:

Nul mieux que le poète ne ressent les mots
Il les communique, les honore et les donne
De dix acceptions il décide la bonne
d'un trait ! le seul qui différencie les jumeaux

[Nessuno meglio del poeta sente le parole
Le comunica, le onora e le dona
Tra dieci accezioni decide quella giusta
di colpo! l'unico capace di distinguere gemelle]
(traduzione mia)

In fondo una semplice evidenza: ridare ad ogni parole il suo valore, il suo peso, il suo senso comune e condiviso, la sua verità, in un momento storico in cui le parole non hanno più senso, in gran parte per colpa della politica e dei media che parlano a vanvera, ripetendo 24 ore su 24 parole false, ingannatrici, manipolatrici, propagandistiche, in modo deliberato, affinché la gente non capisca più quello che succede, facile preda della disinformazione organizzata a livello planetario.

Sé una volta le parole di una lingua rappresentavano il terreno comune di un popolo, un suo cemento culturale, oggi non è più così e magari mai ritroveremo questa base condivisa senza la quale nessun dialogo sarà più possibile...

Ecco perché la poesia è un'ancora di salvezza in questo mondo di menzogne, ecco perché sentendo le parole semplici, vere e umili di un poeta, non ho potuto fare altro che tradurle in modo da condividerle con più persone possibili, al di là delle frontiere in cui sono nate.

Qui seguono le due poesie di Filuzzo, la loro traduzione sta sul post francese

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Quando sarò morto

me ne andrò ballando
nel grembiule infarinato di mia nonna
avvolto
nel suo sudario contadino.
Sarò ancora bimbo
e feto ritornato
e poi nulla...
un soffio di parlato.
Sarò coperto
nel suo odore di formaggio
accompagnato
dall’armonica del nonno
suonata al focolare
nella calma
indolente domenica invernale
che passava eterna
all’ombra bruciata di una fiamma.
Ed io eterno muoio
nei loro passi lenti
nelle loro pelli impecorite.
Dai solchi terrigeni delle loro rughe
mi nascono
come figli abbandonati
i frutti saporiti e un po’ malati
della nostalgia.
Nelle movenze ferme
ruvide e cadute
delle loro mani morte
si rifugia sempre questa mente
come in un calore che non sente
come in un anfratto di mancanza.

*
Ora
che tutto si è svuotato
sali dalla terra
e vienimi a trovare.
Facciamoci una cena
nel magazzino vecchio.
Sul cassone nero
stendi i tuoi abbracci di pane.
Tra gli intrecci
mettici le uova
che ci nasceremo dentro.
Non ci mancherà nulla
in questo nido di molliche.
Incoronali di pace
i tuoi circoli di gloria.
Ci canteremo la vita
nonna
su tutte le morti
su quelle che non vogliamo
e su quelle che non ci diciamo
su quelle che ci nascondiamo
e che ci sepelliscono piano.
Ma tu torna
torna da tutte le morti
in un attraversamento di luce.
Vieni,
come una che dorme.
Ti ritroverò bella
e sarà subito Pasqua.